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UN BUON CAVOLO
Trapiantare un buon cavolo,
bisogna cambiare un’altra volta casa,
arrivare finalmente a Valdocco,
con Don Bosco in casa nostra.
Nell’oratorio bisogna metterci l’anima,
un fuoco che scaldi:
attento che non si spenga!
Paglia, fango, passami la malta,
il secchio e l’acqua,
pesta con più forza!
Piedi stanchi,
faccia sempre allegra
e la casa viene su.
Giorno dopo giorno
mi metto in cammino
per lavorare con i ragazzi.
Sacrificio e bontà per costruire l’oratorio.
Bisogna mettere il fuoco
al centro della tua casa.
Bisogna mettere Dio
al centro della tua anima.
Paglia, fango, passami la malta,
il secchio e l’acqua,
pesta con più forza!
Piedi stanchi,
faccia sempre allegra
e la casa viene su.
È già in frigo, a letto a riposare.
Cuciniamo con il gas
e il tuo fuoco si spegnerà.
Attento! arriva il mondo
dentro casa tua.
Attento! arriva il freddo
dentro la tua anima.
“Ragazzi, vi piace il freddo?”
“NO!”
Paglia, fango, passami la malta,
il secchio e l’acqua,
pesta con più forza!
Piedi stanchi,
faccia sempre allegra
e la casa viene su.
Se la tua porta è aperta,
il fuoco si riaccende.
È il primo canto dell’oratorio che ho scritto.
Il testo è di Elisa dell’oratorio di Pisa;
lei conosceva bene la vita di Don Bosco,
i suoi sogni e le sue “buonenotti" ai ragazzi.
Nacque l’idea del cavolo (il repollo) trapiantato.
Don Bosco ha dovuto cambiare molte sedi
per l’oratorio, in tanti gli crearono problemi
e non vedevano bene l’opera che stava
avviando.
Così, per giustificare ai suoi ragazzi i vari
cambi e traslochi, prendeva l’esempio delle
piantine di cavolo che, se vengono trapiantate,
danno un frutto migliore.
Questo canto fu un vero successo
nell’oratorio delle Ande!

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